Questa é una riflessione su una delle più infelici e probabilmente dannose immissioni volontarie di specie ittiche nel Garda… Tra il 1975 e il 1978, si pensò di immettere nel Lago di Garda un salmone argentato americano (specie di Oncorhynchus Kisutch), per contribuire al miglioramento della pesca professionistica, basandosi sulla commerciabilità data dalla qualità delle carni e velocità di accrescimento. Queste immissioni furono però eseguite senza un minimo di indagine scientifica e senza considerare i potenziali danni per l’equilibrio dell’ecosistema.
Infatti, gli ittiologi del tempo erano molto scettici riguardo questo tipo di immissioni nel Garda, in quanto non vi erano sufficienti dati rispetto alla specie in questione e di come avrebbe potuto comportarsi una volta immessa e magari acclimatata nel Lago. A conferma dei dubbi esposti, si scoprì poi essere, verosimilmente, un pesce voracissimo, con una predilezione per i piccoli della specie dei salmonidi, proprio mentre il Garda era alla prese, allora come oggi purtroppo, con un continuo calo demografico del Carpione (Salmo Trutta Carpio), specie endemica gardesana, che quindi è presente, nel mondo, solo in questo Lago.
Questo salmone, alloctono, si estinse comunque velocemente. Infatti se ne rinvenirono molti morti sulle sponde dell’alto lago, mentre alcuni furono catturati mentre tentavano di risalire le foci dei fiumi afferenti il Garda. La riflessione è presto fatta: ogni genere di immissione ittica nel Garda dovrebbe essere esaminata attentamente da ittiologi esperti dell’ecosistema gardesano, non dovrebbe quindi essere eseguita arbitrariamente, senza controllo e senza una base scientifica che ne giustifichi l’immissione.
Una sorte simile al salmone toccò anche al Cefalo, immesso nel Garda in migliaia di esemplari negli anni cinquanta e l’Amur. Anche gli “stock” prelevati per le immissioni, che arrivano da allevamenti o altri bacini esterni al Garda, devono essere controllati all’origine, perché spesso proprio li si annidano specie aliene pericolose. L’ideale sarebbe proprio riprodurre il pesce autoctono gardesano, direttamente prelevato nel Lago e non attinto da altri bacini.
Il “Contratto di Lago”, che nel suo logo riporta proprio il Carpione, nasce anche per stimolare e possibilmente coordinare le future immissioni, tra regioni, per garantire scientificità e sicurezza nelle azioni che, ovviamente in buona fede, vengono intraprese. Il Lago di Garda, tra i grandi laghi sub alpini italiani, è quello che gode ancora di buona salute, ragion per cui è necessario studiare, imparando anche dagli errori passati, al fine di formulare progetti e soluzioni efficaci, ma soprattutto realizzabili, per la tutela della biodiveristà e dell’ecosistema gardesano.
Filippo Gavazzoni