Filippo Gavazzoni: « A proposito del Coregone Lavarello e Agone nel Garda»

Che temperatura segna il termometro del benessere del Lago di Garda? Da quali dati e numeri possiamo partire per questa misurazione? Visto che siamo verso la fine dell’anno, è possibile valutare le quote del pescato, ma vedrete che, qualsiasi sia il punto di partenza, alla fine ogni ragionamento porterà alle stesse conclusioni.

Ho recuperato quindi i dati del pescato, avendo già quelli della qualità delle acque, le evidenze come le temperature, specie invasive (IAS) ed evidenze empiriche sull’habitat lacustre e, alla luce di tutto quello che negli anni ho studiato, ho fatto una sintesi che credo, purtroppo, possa essere molto vicina alla realtà; nessun valore scientifico, come doverosa premessa. Quindi, secondo i dati, il calo della specie più rilevante economicamente sul Garda (anche la più mediatica), ovvero il Coregone lavarello, non è un fenomeno solo di quest’anno, bensì evidente almeno dal 2020. Le quote del pescato (calcolate su +/- 80% del totale prelevato sul Garda) parlano chiaro, ovvero: nel 2020 la quota annuale pescata (solo professionistica) era pari a circa 56.000 kg. – 2021, 45.000 kg; – 2022, 31.000 kg; – 2023, 23.000 kg; – 2024, 12.000 kg.

Alla luce di questi numeri (reali), la questione che si pone è la seguente: il calo del Coregone lavarello, immesso nel 1918 con il nobile fine di supportare i pescatori nel loro lavoro, è cominciato prima degli effetti del divieto da parte del Ministero dell’Ambiente, attraverso il decreto 102/2019, che ha fermato i ripopolamenti di specie non autoctone.

Questo decreto ha interrotto il ripopolamento e l’attività degli incubatoi nel 2021, che non hanno più ricevuto quindi le uova spremute dagli esemplari che sarebbero stati catturati in deroga al fermo pesca a tutela della riproduzione. Se a questo dato, che è certo, aggiungiamo che la media stimata di accrescimento sul Lago di Garda per avere un Coregone lavarello in misura per la pesca è di due anni (per arrivare ad una lunghezza di almeno 30 cm), risulta evidente che il calo riportato sopra non è da ricondursi, come detto, solo all’interruzione dei ripopolamenti.

Quindi per ora, al netto dello stop alla riproduzione, che ha comunque il suo impatto come diceva l’ittiologo Enzo Oppi “in ambienti dove l’habitat risulta in parte o totalmente compromesso”, le cause o sono da ricondursi ad un prelievo eccessivo rispetto la reale produttività del lago (es: nascono 10 pesci e ne prelevo 12, per capirci), oppure questa specie stenta a riprodursi in modo efficace naturalmente, ma un fattore non esclude a priori l’altro. Ma perché tutto questo?

In buona sostanza se un ambiente naturale fatica ad esprimere le caratteristiche necessarie affinché una specie ittica possa riprodursi efficacemente, (es: aumento temperature dell’acqua, compromissione habitat/letti di frega naturali, competitor alimentari e specie invasive che predano le uova deposte, ecc…) e se a questi fattori si somma un prelievo professionistico e sportivo (seppur minimale in proporzione) in aggiunta alla quota di bracconaggio (come tale non definita) che va oltre il numero che naturalmente questa specie può esprimere, risulta evidente come si possa andare incontro ad un calo costante, come sta di fatto accadendo con un calo annuale in doppia cifra percentuale. 

Un’amara constatazione è che anche l’Agone (la sarda di lago) sta calando e non è mai stata una specie oggetto di ripopolamento, quindi qua il ragionamento si deve fare senza questo fattore. Dal prelievo registrato dal 2022 ad oggi il calo è oltre del 50% (da circa 6500 kg a 3000 kg), ed è troppo. Più la specie si riduce in numero, più sarà ridotta allo stesso modo la sua riproduzione, che già attraversa tutte quelle difficoltà sopra dette. Questa cosa preoccupa? Si, a me preoccupa. E’ successa altre volte? Si, il Lago di Garda ha assistito storicamente ad altri cali ittici. Alcuni numeri: – 1961 8.700 kg, già nel 1965 erano però 142.000 i kg pescati; – 1981 16.100 kg e nel 1984 erano 48.000 i kg pescati.

Magari l’anno prossimo vedremo un aumento del pescato, non lo posso sapere. Per ora bisogna essere realisti e fare i conti con lo stato attuale, concentrandosi sulle soluzioni possibili, che però non daranno risultati nel brevissimo periodo: parlo del recupero degli habitat, dell’attuazione delle massime tutele e finalmente elaborare quella stima della biomassa e reale produttività del Lago per avere quel minimo punto fermo da cui ripartire, da cui fare ordine. Anche se la riproduzione in incubatoio riprendesse adesso, eseguita con gli ottimi risultati ottenuti grazie all’esperienza maturata negli ultimi anni da UPBS Unione Pescatori Bresciani a Desenzano, non darebbe risultati se non almeno dopo circa due anni e comunque questo non risolverebbe il problema degli habitat, fondamentali se si vuole operare con un minimo di lungimiranza.

Tutte cose che ho già ufficialmente espresso con un documento alla Regione Veneto, Lombardia e Provincia Autonoma di Trento di cui mi faccio carico come Comunità del Garda. Il futuro va programmato valutando con attenzione tutto, distribuendo gli investimenti ed i fondi economici non solo sulle opere a servizio delle infrastrutture turistiche che, per quanto importanti, si completano solo grazie all’attrattività di questo territorio che resta tale nella misura in cui la componente ambientale esprime ed esprimerà condizioni di benessere e prosperità. Inutile girare intorno questo concetto, o far finta che abbia un peso irrilevante.

Il Lago di Garda ha una grande resilienza, è indubbio, ma come per ogni cosa esiste un limite e non vorrei sperimentassimo l’esperienza nell’oltrepassarlo.

Filippo Gavazzoni – Vicepresidente Comunità del Garda

Immagine dal libro I coregoni. «In lacubus territorij nostri» di Pietro Volta, Renzo Dionigi, Angelo Stella.

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