La Trota Lacustre, un unico pesce per la cui cattura si sono sviluppate modalità di pesca differenti, anche bizzarre, tra l’estremo nord e sud del Lago di Garda.
Quando era ancora abbondante, la Trota Lacustre cominciava la sua riproduzione a Torbole, a partire da ottobre fino a gennaio, risalendo quindi il Fiume Sarca; a Peschiera del Garda, con un ritardo di circa due settimane, cominciava per lo stesso motivo la sua discesa tra i canali della fortezza e giù lungo il Fiume Mincio, per circa 1-2 km.
In questi momenti, la Trota non era solo oggetto di pesca per i professionisti, ma anche per gli avventizi (spesso contadini) che, nei momenti di abbondanza, cercavano di arrotondare il loro reddito con la pesca; in quel tempo una pratica diffusa che creava anche tensioni. Sul Sarca, uno dei metodi più strani per prendere qualche Trota prevedeva l’utilizzo del forcone da stalla, normalmente usato da contadini per il fieno ma in questo caso utile per “fiocinare” qualche pesce che usciva dall’alveo del fiume, magari quando in piena.
La Trota, risalendo la corrente, faceva anche dei salti fuori dall’acqua, ed era in quel momento che gli avventizi si facevano trovare pronti per prenderla al volo con un retino, restando per questo in attesa sul bordo del fiume per molto tempo. I professionisti avevano dei sistemi ben più seri, meno improvvisati, come il “valanchér”, una rete a strascico che si stendeva davanti la foce del Sarca o il “lòf”, che invece d’attendere alla foce il pesce lo inseguiva a strascico lungo il senso della corrente.
Un punto d’incontro tra nord e sud del Garda era “l’arela”, un sistema di pali in legno che, sbarrando in larghezza parte dell’alveo del Fiume Sarca, quanto del Mincio, obbligava il pesce in risalita verso un unico punto di passaggio, dove trovava poi la rete che lo catturava. Seppur con delle differenze, quella sul Sarca si chiamava “arela” e quella sul Mincio “fòrca”, detta in modo generico “pesca”. Sul Mincio, addirittura, grazie ai bassi fondali, si usava issare sul fondo, quindi sospesa in acqua, una lunga pertica sulla cui sommità si trovava un uomo che, come la vedetta di una nave, avvistava la Trota in arrivo verso la rete. Una volta che la Trota si trovava a passare sopra questa rete, la sentinella sopra la pertica dava il segnale e due pescatori la alzavano di corsa, catturando così la Trota.
Tutti sistemi in disuso da molto tempo; se ne trova traccia nei testi dell’800 e per la “fòrca” addirittura del ‘500. Al di là del piacere della conoscenza, queste storie consegnano un dato di fatto, ovvero l’abbondanza della Trota Lacustre nel Lago di Garda, in grado di raggiungere e passare agevolmente anche i 15kgnumeri da vera regina dell’ittiofauna gardesana.
La Trota Lacustre, adattandosi ai regimi lacustri, potrebbe avere in parte modificato la sua livrea, prendendo sembianze tipiche “gardesane”. Tuttavia, posso serenamente affermare di non aver mai approfondito per bene questo argomento, tanto che anche tra regioni, Veneto e Lombardia per esempio, pare non ci sia ancora una linea d’interpretazione condivisa, che si manifesta sui permessi o divieti di immissione.
Chi fosse interessato a conoscere meglio la Trota nei laghi sub alpini italiani e nei rispettivi fiumi, mi permetto di consigliare la pagina facebook Ittiolab Irsa Cnr, in cui l’ittiologo Pietro Volta pubblica interessanti notizie.
Filippo Gavazzoni
Nella foto: una Trota Lacustre, pescata a Torri del Benaco negli anni ’40. Credits: “Pescatori del Lago di Garda” di G. Vedovelli e P. Basso.